Il crollo di Wall Street e la Grande Depressione negli Stati Uniti
La drammaticità della Prima Guerra Mondiale portò all’insufficienza della reperibilità di diversi prodotti a livello europeo, accompagnata da una conseguente svalutazione della moneta a soffocamento dell’iniziativa privata. Contrariamente alla situazione dell’Europa gli Stati Uniti d’America subì un incremento a livello produttivo, dovuto soprattutto ai prestiti concessi agli alleati, portando tuttavia al crollo di Wall Street e la Grande Depressione americana.
Storia e cause legate al crollo di Wall Street
Al termine della Prima Guerra Mondiale la situazione critica delle economie europee non sembrava aver intaccato invece quella degli Stati Uniti, i quali avevano impiegano all’interno del conflitto soltanto il 9% della loro ricchezza totale, concedendo prestiti ai Paesi Alleati assumendo in fretta un ruolo di dominio mondiale all’interno del Capitalismo. L’apparente stato di crescita dell’economia americana fu sovrastata dall’entrata degli USA nelle Società delle Nazioni, allo scopo della preservazione degli scambi economici, comportando la caduta di Wilson e la salita al potere del repubblicano Harding nel 1920.
La rigida linea di Harding prevedeva un distacco netto dagli affari europei, un aumento delle iniziative private, lo sfruttamento del rientro dei prestiti concessi agli Alleati nel dopoguerra, fino al protezionismo con il divieto della commercializzazione dell’alcool nei confronti degli operai a preservazione di una migliore produzione industriale, abrogato in seguito soltanto nel 1933 sotto gli effetti del contrabbando. A sostegno della politica repressiva di Harding si trovavano soprattutto le donne, i calvinisti, i wasp bianchi anglosassoni anticattolici e antirlandesi, la destra religiosa, il movimento nazionalista e xenofobo responsabile della formazione della formazione delle società segrete come il Ku Klux Klan.
La politica isolazionista del periodo portò alla saturazione del mercato interno, una condizione economica ristabilita soltanto in seguito grazie al piano Daws del 1924 e al piano Young. Nel 1925 all’interno del territorio americano fu rintrodotto il Gold Standard per la convertibilità del denaro in oro, mentre i governi europei adottarono invece la strada della deflazione, arrivando ad una crescita sostanziale della Borsa tra gli anni del ’27 e del ’28. Nonostante la crescita della Borsa non si registrò una crescita reale della produzione, arrivando alla crisi del 1929.
Crisi del 1929 e Grande Depressione americana
Nel 1929 gli Stati Uniti d’America entrarono per primi all’interno di una crisi denominata Grande Depressione americana, estesa successivamente anche al resto del mondo, modificando le sorti dell’intero periodo del Novecento. La Grande Depressione si espanse non soltanto sugli aspetti economici del Paese ma anche culturali e politici, gettando le basi del secondo conflitto mondiale. Per la prima volta nella storia del Capitalismo i progresso economico sostenuto soprattutto dall’America subì un forte crollo mettendo in ginocchio l’economia a livello mondiale, preceduta dal crollo di Wall Street sede della Borsa di New York.
Nella prima parte del 1929 i titoli di Wall Street avevano raggiunto livelli elevati, nonostante i tentativi di rassicurazione da parte del presidente della National City Bank, mentre il crollo dei prezzi successivo decretò la giornata del 24 ottobre come il “giovedì nero”, responsabile della precipitazione di valore dei titoli e della folle corsa alle vendite. Il crollo definitivo della Borsa di New York si registrò il 29 ottobre nella giornata del “martedì nero”.
In conseguenza al crollo del 29 ottobre furono diversi gli agenti di borsa e gli speculatori che decisero di suicidarsi, sotto conseguenze disastrose anche sui ceti medi dovuti soprattutto alla disoccupazione conseguente. Per uscire dalla Grande Depressione l’America e la politica interna impiegò quattro lunghissimi anni, grazie alla spinta del presidente Franklin Delano Roosevelt e alle strategie di rilancio produttivo.